Spiegazione delle parabole di Gesù
(011)
La parabola della pecorella smarrita (243.3)
La Carità spinge a perdonare e a compatire per insegnarvi che il perdono è più utile del rancore e il compatimento dell’inesorabilità. Venite a chi perdona. Abbiate fede in chi compatisce. Anche Io dopo aver ricordato la Legge, calpestata dalla peccatrice, ho fatto cantare la speranza del perdono. Come una serica fascia di verde e di azzurro l’ho scossa fra le tinte nere perché vi mettesse le sue confortevoli parole.
Il perdono! La rugiada sull’arsione del colpevole. La rugiada non è grandine che saetta, colpisce, rimbalza e va senza penetrare, uccidendo il fiore. La rugiada scende così lieve che il fiore anche più tenue non la sente posarsi sui petali di seta, ma poi ne beve il fresco e si ristora. Essa si posa presso le radici, sull’arsa gleba e va oltre … E’ un umidore di lacrime, pianto delle stelle, amoroso pianto di nutrici sui figli che hanno sete e che scende, esso stesso ristoro, insieme il latte dolce e fecondo. Oh! i misteri degli elementi che operano anche quando l’uomo riposa o pecca!
Il perdono è come questa rugiada. Porta seco non solo mondezza, ma succhi vitali rapiti non agli elementi, ma ai focolari divini. Poi dopo la promessa di perdono ecco la Sapienza che parla e dice ciò che è lecito o non lecito e richiama e scuote. Non per durezza, ma per sollecitudine materna di salvare.
Quante volte la vostra selce non si fa ancora più impenetrabile e tagliente verso la Carità che su voi si curva! … Quante volte fuggite mentre Essa vi parla! … Quante la deridete! Quante la odiate! …. Se la Carità usasse con voi i modi che voi usate con Lei, guai alle vostre anime! Invece, lo vedete! Essa è l’Instancabile Camminatrice che viene alla ricerca vostra. Viene a raggiungervi anche se voi vi intanate in luride tane.
Non ho detto parola alla Maddalena. Come fosse una statua l’ho guardata un attimo e poi l’ho lasciata. Sono tornato ai “vivi” che volevo salvare. Lei materia morta come e più di un marmo scolpito, l’ho avvolta di noncuranza “apparente”, ma non ho detto parola o fatto atto che non avesse a principale mira la sua povera anima che volevo redimere. E l’ultima parola: “Io non insulto, non insultare, prega per i peccatori. Null’altro” come ghirlanda di fiori che si compie, si è andata a saldare con la prima detta sul monte: “Il perdono è più utile del rancore e il compatimento dell’inesorabilità” e l’hanno chiusa, la povera infelice, in un cerchio vellutato, fresco, profumato di bontà, facendole sentire come è diversa l’amorosa servitù a Dio della feroce schiavitù di Satana, come è soave il profumo celeste rispetto al lezzo della colpa e come riposa l’esser amati santamente rispetto all’esser posseduti satanicamente.